L’anello di Bindi su L’indice dei libri

Talento, parodie, stigmi infamanti
di Ferdinando Fasce
 
L’anello del titolo è l’anello doro con un luccicante solitario che Umberto Bindi, classe 1932, all’epoca il pioniere e il più affermato cantautore della cosiddetta “scuola genovese”, sfoggia all’anulare destro il 26 gennaio 1961, in occasione del suo esordio sul palco del festival di Sanremo. Dopo vari tentativi fallimentari, ci tornerà solo trentacinque anni dopo, nel 1996. Quando la sua carriera, che fino a quella sera a Sanremo era stata in crescita inarrestabile, grazie al valore indiscusso di brani come Il nostro concerto e Arrivederci, è da tempo finita. L’ha stroncata proprio l’esibizione festivaliera degli anni del “miracolo economico»: un’esibizione accolta con freddezza dal pubblico e dalla critica, che non mostra di gradire Non mi dire chi sei. Tanto che il pezzo, che pure uno che se ne intende come Renato Rascel definisce “l’unica vera canzone” dell’intera kermesse, scivola al penultimo posto tra le dodici finaliste, in un fondo classifica tutto genovese: Gino Paoli è decimo, chiude come fanalino di coda l’ex portuale Joe Sentieri. Qualche mese dopo, Alighiero Noschese comincia a farne l’imitazione parodistica.
“Bindi, come artista, è precipitato ormai nel ridicolo”, annota Molteni, giornalista e saggista, in questo libro rapido, informato e sensibile.
Che cosa è successo? È esplosa, aggiunge l’autore, una tempesta perfetta fra un brano che Gianni Borgna catalogherà in seguito come una delle canzoni più “ardite” del talentuoso “cantante-autore” e gli stigmi infamanti che all’epoca investono l’omosessualità,
“quell’anello al dito e quanto si dice tra un caffè e un whisky al bar del Casinò”.
Vittima dei pregiudizi imperanti e di una cattiva gestione del proprio talento, Bindi chiude la sua difficile esistenza nel 2002, povero e dimenticato, per una crisi cardiaca, a un mese dalla concessione dei benefici della legge Bacchelli. La sua vicenda occupa il quarto iniziale di un lavoro dedicato al rapporto fra canzone e cultura omosessuale dai primi anni Sessanta a oggi: il libro fornisce utili informazioni, appoggiate a fonti giornalistiche. Da Bindi si trascorre al resto del decennio, gli “anni del sottinteso”, nei quali spicca come primo spartiacque, che passa comunque inosservato, nel 1963, relegato come a una
facciata B, Uno strano ragazzo. Scritto da Gian Pieretti, di Iì a poco baciato dal successo sanremese con Pietre, il brano delinea il ritratto stereotipato di un giovane “complessato, che non si integra con gli altri”, è tanto “bello da sembrare truccato” e “debole fisica-mente”. Bisogna attendere il decennio Settanta della protesta e del Fuori! per vedere i primi segnali tangibili di cambiamento, con un centinaio di canzoni a tema omosessuale nel solo 1979. Il che non esclude il persistere di clamorose contraddizioni del pubblico sentire, come quella che sperimenta un esordiente Ivan Cattaneo, minacciato di linciaggio dal “mondo alternativo”, in occasione del quinto festival di Re Nudo al Parco Lambro di Milano nel 1975. O le ambiguità che Molteni coglie nel complesso percorso di Renato Zero. La carrellata si chiude nel 2010 con il coming out di Tiziano Ferro su Vanity Fair. Mezzo secolo dopo la bocciatura di Bindi.
 

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